Cancro, è arrivato il momento di cambiargli il nome? Una proposta per 'prevenire' l'overdiagnosi oncologica - del dottor Gabriele Bovina
Cancro, è arrivato il momento di cambiargli nome? Convegno "Strumenti di Salute Attiva", 01/06/2014
LA MEDICINA INTELLIGENTE È QUELLA CHE CAMBIA
«Tutto ciò che è assoluto
appartiene alla patologia» (Friedrich Nietzsche)
C’è
una buona notizia in ambito medico: la medicina ufficiale sta rivelando una
capacità «autocorrettiva». La capacità di cambiare rotta. Come noto, è tipico
dei sistemi più intelligenti questa capacità di correggersi: di interrompere
quanto è stato fatto, ma che non ha portato beneficio e di avviare nuovi
comportamenti. Possiamo quindi dire che la medicina ufficiale sta rivelando
questa capacità, un atteggiamento da intelligenza superiore. Il problema è che
non sappiamo se gli operatori della salute e gli utenti della salute saranno in
grado di autocorreggersi e integrare i cambiamenti a cui la medicina vuole
andare incontro.
I termini della questione
Ci sono condizioni che abbiamo
definito maligne e quindi nocive per la vita (come una pistola vera se spara
uccide), che ora sappiamo non essere più nocive (come una pistola giocattolo
se spara non nuoce) e altre di cui non siamo più certi siano nocive. Tuttavia, rimane il nome di quelle
condizioni che ci porta inevitabilmente a temerle e a menomarci pur di
rimuoverle (continuiamo a fare «di tutte le pistole un fascio»). Ci
sono situazioni, in cui il fatto di aver considerato certe anomalie di forma
(cellule disposte in modo anomalo) e funzione (pressione arteriosa superiore ad
un determinato valore) del corpo come potenzialmente pericolose per la salute e
averle trattate come tali, non ha migliorato la qualità di vita delle persone
trattate, anzi potrebbe averla peggiorata. Ci sono altre situazioni, invece, in
cui non siamo certi che l’intervento abbia migliorato la qualità di vita delle
persone. Come spesso accade, i fatti di cronaca ci coinvolgono tutti e prendere
uno di essi come esempio può essere utile per chiarire ulteriormente la
situazione. La medicina ufficiale ci ha abituato ad aspettarci da lei che
prevenga la malattia oltre che curarla. Quando dunque la medicina ufficiale per
mezzo dei suoi operatori o dei mass media ci suggerisce di evitare un
comportamento mal sano e di preferire un comportamento più sano o di togliere
una parte di noi che è ammalata, per lo più lo facciamo con fiducia. Certo,
siamo impauriti, ma fiduciosi. Da quanto sappiamo dalle cronache, ad Angelina
Jolie fu detto che aveva l’87% di probabilità di sviluppare un cancro al seno,
calcolate in base al profilo genetico! Come biasimarla se ha riposto tanta
fiducia nel valore predittivo di un test genetico, dal momento che la genetica
è considerata un determinante forte della nostra salute? E che la probabilità
di ammalarsi di cancro al seno era così alta? E che sua madre era morta e che
le era stato detto che era morta di cancro?
Come siamo arrivati a questo punto: amputarci parti di corpo per
evitare che si ammalino?
Il cancro, come suggerisce il termine, è
ciò che presenta aspetti tipo «tessuto mangiato». Cancro fu definito quel tipo di lesione che dava l’idea di un
tessuto mangiato. Si trattava a volte di zone esposte e visibili a occhio
nudo, altre volte di parti interne del nostro corpo che si evidenziavano
all’autopsia o in sede di intervento chirurgico. In entrambi i casi, si
trattava di alterazioni della struttura del corpo visibili ad occhio nudo. Nel
tempo la medicina si è arricchita anche dell’osservazione microscopica dei
tessuti e il termine cancro è stato esteso anche a quanto era alterato in
struttura a livello microscopico (non visibile a occhio nudo, ma solo al microscopio)
e non più a livello macroscopico (visibile a occhio nudo). Alcuni ricercatori
analizzarono il tessuto canceroso al microscopio ed esso risultò alterato anche
microscopicamente. Si pensò quindi che
ciò che era alterato microscopicamente non fosse altro che il primo passo verso
l’alterazione macroscopica. Dal momento che una grossa alterazione non era
altro che il frutto di una piccola alterazione cresciuta, sembrò logico che
rimuovere le lesioni piccole prima che crescessero avrebbe ridotto la mortalità
per le lesioni grandi. Inoltre si ritenne che rimuovere una lesione piccola
avrebbe comportato uno stress minore per il corpo e per la persona stessa.
Nel
frattempo divennero disponibili strumentazioni in grado di evidenziare
lesioni corporee piccole e asintomatiche. Così ebbe inizio la pratica dello
screening (sottoporre ad accertamenti persone asintomatiche) e della
prevenzione secondaria rimozione chirurgica delle lesioni piccole.
Cosa è successo nei fatti perseguendo la pratica dello screening?
Lascio
alle parole di un articolo apparso sulla rivista JAMA, il 28/08/2013,
l’autorevolezza per rispondere. Prima, tuttavia, permettete che io specifichi
che JAMA sta per Journal of the American Medical Association. Si tratta di una
delle 4 riviste mediche più influenti al mondo (JAMA, BMJ, NEJM, LANCET). Per
un medico oggi le riviste sono più importanti dei testi. È raro ormai che una
biblioteca biomedica investa denaro nell’acquisto di libri, preferisce invece
investire negli abbonamenti alle riviste i cui contenuti sono molto influenti
sul comportamento pratico dei medici oggi.
“Nel
corso degli ultimi 30 anni, la consapevolezza e la pratica degli screening hanno prodotto molta enfasi
sul tema della diagnosi precoce del cancro. Sebbene l’obiettivo di questi sforzi fosse quello di ridurre
l’incidenza di cancro in stadio avanzato e la mortalità per cancro, la tendenza
secolare e i trial clinici suggeriscono che questi obiettivi non sono stati
raggiunti; i dati nazionali
dimostrano un significativo aumento delle malattie in stadio precoce, senza che
vi sia un declino proporzionale delle malattie in stadio avanzato.
Ciò
che è emerso è la considerazione che quella condizione patologica nota come
cancro è caratterizzata da un alto tasso di complessità. La parola “cancro”
spesso richiama lo spettro di un processo inesorabilmente letale; tuttavia, i
cancri sono eterogenei e possono seguire numerose vie evolutive, non tutte
destinate ad evolvere in metastasi e morte e includono malattie indolenti che
non producono alcun danno durante la vita intera di una persona.
Anche solo una migliore condizione biologica, può giustificare esiti migliori.
Sebbene questa complessità complichi l’obiettivo di una diagnosi precoce, il
suo riconoscimento offre un’opportunità di adattare lo screening per il cancro
con l’obiettivo di identificare e trattare quelle condizioni con maggiore
probabilità di essere associate a morbilità e mortalità. I cambiamenti in
incidenza e mortalità dopo che la pratica degli screening ha avuto inizio hanno
messo in evidenza 3 pattern.
Gli screening per il cancro al
seno e il cancro alla prostata hanno riscontrato più casi di cancro che sono
probabilmente privi di alcun significato clinico. Il cancro al polmone potrebbe
seguire questo andamento qualora venisse adottato uno screening per le
condizioni di alto rischio. L’esofago di Barrett e il cancro duttale del seno
sono esempi di condizioni in cui il riscontro e la rimozione di lesioni considerate precancerose non hanno condotto
ad una riduzione dell’incidenza di cancro invasivo. In contrasto, il cancro del colon e della cervice uterina
sono esempi di programmi di screening rivelatisi efficaci, in cui il riscontro
e la rimozione precoci di lesioni precancerose hanno conseguentemente ridotto
l’incidenza di condizioni in stadio avanzato. I cancri della tiroide e il
melanoma sono esempi di condizioni per cui la pratica dello screening ha
ampliato il riscontro di lesioni indolenti.”
In
base a suggestioni statistiche e istologiche, diverse lesioni etichettate come
cancro e quindi potenzialmente e attivamente nocive potrebbero essere in realtà
“vere e proprie cicatrici che sono come i residui di una battaglia combattuta e
terminata” oppure “lesioni che il nostro
corpo sta controllando in modo assolutamente efficace”. Lo screening
sarebbe stato un modo per mettere in luce queste lesioni, che altrimenti non
avrebbero mai dato segno di sé o lo avrebbero fatto lasciando comunque il tempo
di intervenire con gli strumenti di cui disponiamo oggi, senza intaccare la
qualità di vita della persona e la durata della vita stessa. Nell’articolo del
JAMA, sono riferite alcune proposte di intervento di un gruppo di lavoro
riunito per sviluppare strategie per migliorare l’approccio attuale agli
screening e alla prevenzione oncologica. In particolare, tra queste proposte ne
voglio citare due:
- “Riclassificare questi cancri come condizioni IDLE (Lesioni Indolenti di origine Epiteliale). L’uso del termine cancro dovrebbe essere riservato alla descrizione di lesioni con una ragionevole probabilità di una progressione verso la morte di chi ne è portatore, se lasciate non trattate.”
- “Medici e pazienti dovrebbero prendere parte a discussioni aperte riguardanti questo tema complesso. I mezzi di comunicazione dovrebbero comprendere meglio e comunicare il messaggio così che come una comunità si possa intervenire per migliorare l’approccio allo screening.”
Che cos’è la Sovradignosi?