sabato 10 maggio 2014

Responsabilità

Chi è responsabile della propria salute? A chi tocca la scelta su quale cura o non cura intraprendere? È una domanda che mi sono posta varie volte da qualche anno a questa parte. Non dalla diagnosi di SM, forse qualche tempo dopo. Ad un certo punto, mi sono risposta definitivamente: a me. All'inizio del mio percorso, io ho affidato la mia salute ad un perfetto sconosciuto, un neurologo, permettendogli di decidere cosa fosse meglio per me - ops-per il protocollo (e forse anche per le sue tasche?). A poco a poco, ho fatto i conti con tante difficoltà ma soprattutto con degli effetti collaterali così pesanti da indurmi a chiedermi se questa "cura" fosse giusta per me. È stata una risposta che ha tardato ad arrivare: 22 mesi terribili di interferone. Ma passato il terrore iniziale (in gran parte instillato dal neurologo), ho scelto per me stessa e ho detto basta! Mi sono detta: "Se questa è la cura per la sclerosi multipla, preferisco la sclerosi multipla!". Max me lo diceva da tempo, ma dovevo far mio un nuovo modo di pensare. La mia famiglia, emotivamente assente durante la mia malattia, ha cominciato a trattarmi da pazza irresponsabile: mia madre mi fece telefonare da mio zio, da mia cugina per convincermi a tornare sui miei passi...perché io ero quella che non si curava, nonostante avesse una malattia degenerativa.


Oggi sono passati tre anni e mezzo da quando ho smesso l'interferone e sto bene. Fisicamente e moralmente mi sono ripresa me stessa. E allora, forse per questo mi incazzo quando sento piangersi addosso ad oltranza, lamentarsi sugli effetti collaterali dei farmaci, i danneggiamenti ulteriori e continui che questi causano alla salute. Anch'io mi sono lamentata per questo; è difficile farsi una ragione della malattia quando sei giovane e hai tutta la vita davanti ma le lamentele devono finire ad un certo punto, bisogna trovare delle soluzioni e valutare le alternative! Ci sono! Però questo atteggiamento di rassegnazione, di non ricerca, di essere al centro e avere l'esclusiva della sofferenza senza far niente, mi indispone. Qualche giorno fa un ragazzo su FB si lamentava dei danni che un farmaco per la SM gli aveva provocato, ringraziando la malattia ironicamente. Così gli ho suggerito di provare omeopatia o rimedi naturali e per tutta risposta mi ha scritto che sapeva delle vitamine, della frutta e della verdura ma per sua pigrizia non li utilizzava. Lì per lì gli ho scritto "coraggio", ma poi ripensandoci, mi infastidiva terribilmente e ho corretto il mio commento spiegando il mio fastidio. Alcuni nemmeno si sognano l'esistenza di altre soluzioni per la SM (perché non le cercano o per convinzione arcaica secondo la quale soltanto il medico capisce, decide e cura), ma lui addirittura le conosceva e non faceva niente. E allora non ci lamentiamo se la nostra salute si danneggia, stiamo male ma non facciamo niente per cambiare la situazione! La mia impressione è che tanti si crogiolino nell'essere malati, che la usino come scusa per la loro infelicità e che si sentano gli unici a soffrire per questo! Facebook non è la vita reale, ma può essere indicativo e, senz'altro amplifica alcuni atteggiamenti. Qualche tempo fa mi ero iscritta o mi avevano iscritta in un gruppo di malati di SM, sclerosetti come ci chiamo io, in cui ci si salutava il mattino, la sera, augurandosi buon pranzo, buon giorno e soprattutto infondendosi coraggio vicendevolmente. Bellissimo, non c'è che dire. Per la mia natura introversa non riuscivo a scrivere lì quello che provavo, mi limitavo a leggere ciò che gli altri scrivevano, via mail, e pubblicavo notizie sulla SM che mi sembravano interessanti. Un bel giorno io  non facevo più parte del gruppo: mi avevano esclusa perché pubblicavo queste notizie e non avevo ascoltato i loro numerosi richiami. A loro non interessava sapere se si era scoperta questa o quella cura per la SM. Loro vivevano nel loro portofranco della malattia: quel gruppo. Che affronto il mio! Così ho scritto ad una di loro, spiegando che non passavo la mia vita su FB, ma pubblicavo le notizie che mi sembravano di interesse comune senza restare nel social network, quindi, in totale buona fede, non avevo rispettato le regole del gruppo perché non le avevo mai lette. Alla fine, è emerso il reale motivo della mia esclusione da questo gruppo esclusivo: non mi ero mai fermata a piangere con loro, a coccolare ed essere coccolata. In quel gruppo, a detta loro, la SM era stata accettata; secondo me si erano rassegnati ad un destino che loro stessi avevano affidato ad altri e sembrava avessero l'esclusiva della sofferenza e della malattia. Ai loro occhi mi sono sentita "non malata"...era come se loro fossero malati e io no. E allora ancora oggi rifletto su questo atteggiamento che ho avuto anch'io per un periodo: la rassegnazione per qualcosa che non si può cambiare e il crogiolarsi in questo stato. Perché fa comodo dire e pensare: "Sono malato, che ci posso fare?!"...Datevi una mossa cazzo! Leggete, cercate, informatevi sulle alternative, ponetevi domande. O vi fa comodo delegare la vostra salute in mano ad altri?! Vi fa comodo piagnucolare nascondendovi dietro alla vostra malattia?! State in rete, piagnucolate e vi tirate su (o giù?!) a vicenda. Nessuno cura nessuno. Prendete in mano la vostra vita e scegliete la vostra cura, la vostra libertà di cura. La nostra felicità, ma soprattutto la nostra SALUTE dipende da noi!

Giuliana



Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported.

Nessun commento:

Posta un commento

Non si accettano offese parolacce o bestemmie. Rispetto e civiltà sono ben accetti. Gli autori non vogliono sostituirsi alla figura medica e non si accettano richieste di cura. Non è possibile in questa sede rispondere a domande riguardo malattie personali ma, solo in linea generale, a scopo informativo e divulgativo.